Nel novembre 2005 partecipo al primo incontro internazionale di esperti di una dozzina di Paesi uniti per la protezione dei popoli isolati dell’Amazzonia al seguito dell’etnologo, giornalista, scrittore Maurizio Leigheb e del videomaker Aldo Pedretti.
La prima conferenza internazionale per gli Indios in Isolamento viene organizzata e coordinata da Sydney Possuelo che convoca rappresentanti di tutte gli Stati Sud-Americani nei quali continuano ad esistere gruppi di Indigeni non contattati (Brasile, Paraguay, Bolivia, Perù, Venezuela, Colombia ed Ecuador).
In questa occasione viene firmata la “Lettera di Belém”, chiedendo agli Stati azioni di protezione per i popoli in isolamento volontario.
Le colonizzazioni hanno portato, per le popolazioni originarie, distruzione, stermini, genocidi. Per alcuni si è trattato di veri e propri etnocidi visto che numerose etnie, dopo i contatti con il mondo civilizzato, non esistono più. Per altri invece la minaccia da allora non si è fermata e oggi si presenta sotto molteplici forme.
In molte culture indigene le sorgenti, i fiumi, i luoghi di sepoltura e le montagne rivestono un ruolo centrale.
Questo stretto legame fra terra e religione spiega perché la devastazione ambientale o la migrazione forzata possono mettere in serio pericolo l’esistenza di queste popolazioni e causare la disgregazione delle società autoctone.
Ci sono parecchi ostacoli da superare, come razzismo, dittatura, avidità, riassume Vincent Brackelaire, sociologo e antropologo, che ha stilato il documento riassuntivo dell’ incontro: “Dopo cinque secoli di contatti disastrosi che hanno causato la scomparsa di centinaia di popoli, solo alla fine del ventesimo secolo è cominciata a cambiare la percezione delle cose, e bisogna attendere solo l’inizio del XXI secolo perché ci si preoccupi in modo globalizzato della sopravvivenza dei popoli indigeni in isolamento. Molte specie animali in via di estinzione sono molto più protette, grazie a specifici protocolli di difesa internazionale, rispetto agli ultimi popoli sconosciuti del pianeta, con le loro società, culture, saperi che rischiano di scomparire prima di essere conosciuti”.
Sydney Ferreira Possuelo (San Paolo, 19 aprile 1940) è un esploratore e attivista brasiliano.
Inizia la sua carriera come indigenista nel 1969. Nel 1972 entra nella Fundação Nacional do Índio (Funai), l’agenzia brasiliana responsabile per la protezione delle tribù indigene, e ci rimane per 33 anni: più di quarant’anni dedicati alla causa indigena.
Come “sertanista” (così venivano chiamati gli esploratori dell’Amazzonia, da Sertão, il nome di una regione del Brasile) Sydney organizza e coordina innumerevoli spedizioni nell’Amazzonia Brasiliana, navigando lungo i grandi fiumi del Brasile e attraversando più di tremila chilometri di foresta vergine.
Nell’ottobre del 1996 coordina una spedizione che porta al primo contatto con i Korubo, gruppo indigeno della Valle del Javarí nella Amazzonia Brasiliana.
Durante gli anni settanta e anni ottanta è chiamato ad intervenire in vari conflitti tra indigeni e coloni.
Sydney crea il “Sistema di Protezione per gli Indios Isolati” con una conseguente innovativa politica adottata dal Governo: diritto alle popolazioni indigene di rimanere
nella loro situazione di non contatto, mentre fino a quel momento la politica era basata nel contatto e nella conseguente integrazione forzata alla società nazionale.
Durante i due anni di presidenza alla Funai (1991-1993) Sydney concentra gli sforzi per demarcare le Terre Indigene. Durante la sua presidenza egli praticamente duplica la superficie totale delimitata.
Nel gennaio del 2006 Sydney viene esonerato dalle sue funzioni nella Funai, dopo essersi dichiarato pubblicamente in disaccordo con la politica del Governo nella demarcazione delle terre tradizionali delle popolazioni indigene.
Da allora fa parte dell’IBI, l’Istituto Indigenista Brasiliano, un’organizzazione no-profit non governativa che lavora per la difesa dei diritti dei popoli indigeni e del loro territorio.
Alla sua vita e alle sue imprese l’etnologo e regista italiano Maurizio Leigheb, delegato al Convegno e suo amico di vecchia data, ha dedicato i documentari “SIDNEY POSSUELO, UNA VITA PER GLI INDIOS” (1989) e “SIDNEY POSSUELO, IL DIFENSORE DEGLI INDIOS” (1999), girati in Amazzonia e trasmessi da varie televisioni europee.
“Dovremmo finalmente vedere nella difesa dei popoli indigeni non un atto di compassione ma un atto di autoconservazione, perché tutto ciò che ci è stato tolto dall’era industriale fra loro sopravvive almeno a livello di tracce. Se vogliamo definirci uomini avremo bisogno dell’aiuto di coloro che nella nostra sciocca arroganza chiamiamo sottosviluppati”
(Robert Jungk – giornalista, attivista, ambientalista)
Fonti:
https://it.linkfang.org/wiki/Sydney_Possuelo
Scheda “Popoli minacciati” di Unimondo: www.unimondo.org/Guide/Politica/Popoli minacciati
SURVIVAL
Survival International fu fondata nel 1969 in risposta a un articolo sul genocidio degli Indiani del Brasile scritto dal giornalista Norman Lewis e pubblicato sul giornale britannico Sunday Times.
La storia dei popoli indigeni del Brasile è segnata da violenze, schiavitù, malattie e genocidio.
Quando arrivarono i primi coloni europei, nel 1500, l’attuale Brasile era abitato da circa 11 milioni di Indiani suddivisi in circa 2000 diverse tribù. In un solo secolo dal primo contatto, il 90% degli indigeni fu spazzato via.
È stato calcolato che nel corso dell’ultimo secolo si sia estinta in media una tribù all’anno.
Oggi in Brasile, dove vive la maggior parte dei popoli incontattati del pianeta, permane un razzismo endemico verso gli Indiani, che vengono ancora considerati inferiori dalla legge: il Brasile è uno degli unici due paesi dell’America meridionale a non riconoscere la proprietà indigena della terra.
Con il crescere della pressione per lo sfruttamento delle loro terre, tutti gli Indiani incontattati si ritrovano esposti ad attacchi violenti (molto frequenti) e alle malattie provenienti dall’esterno, come il morbillo e l’influenza, verso cui non hanno difese immunitarie.
I popoli indigeni, cacciatori-raccoglitori nomadi, hanno mappe mentali incredibilmente dettagliate del territorio e della sua topografia, della fauna e della flora, e dei luoghi migliori per la caccia. Hanno una conoscenza impareggiabile delle loro piante e animali, e rivestono un ruolo di vitale importanza nella conservazione della biodiversità.
Secondo alcuni studi scientifici, oggi le terre indigene costituiscono la barriera più importante alla deforestazione dell’Amazzonia
Discarica di Aurá:
la discarica di Belém do Pará una delle più grandi città dell’Amazzonia
Belém, capitale dello Stato di Pará, nel nord del Brasile, alla foce del Rio delle Amazzoni, conta circa tre milioni di abitanti tra città e hinterland, con un tasso di disoccupazione del 23% ma, triste paradosso, un altissimo numero di bambini che invece lavorano, con salari bassissimi piuttosto che andare a scuola.
La situazione è particolarmente drammatica nella discarica municipale, l’ Aurà: 100 ettari, con un afflusso di 1200 tonnellate di pattume al giorno, ai cui bordi 240 famiglie campano in miserande baracche senza acqua né elettricità, arrabattandosi per sopravvivere con quel che trovano lì.
la triste realtà quotidiana per migliaia di persone.
Qui centinaia di famiglie trovano la fonte per il pane quotidiano frugando tra i rifiuti in concorrenza con gli urubù che con il loro volo indicano a distanza il luogo della discarica.
Ci sono anche molti bambini: i più grandicelli lavorano in condizioni igieniche più che precarie; li si vede passeggiare sulla spazzatura con delle semplici infradito, pochi usano i guanti e nessuno usa la mascherina.
I più piccoli giocano dentro la discarica, portati lì da genitori che lavorando entrambi non sanno a chi lasciare i propri figli.
I rifiuti organici riutilizzabili, le varie materie plastiche riciclabili e non, i più svariati materiali di scarto si mescolano ai temuti rifiuti degli ospedali. Coloro che ogni giorno fanno di questo posto il loro “ambiente di lavoro” si trovano a contatto con le più disgraziate malattie. Ma questo è il prezzo da pagare per mantenere una famiglia e per dare un futuro ai propri figli.
La ricerca nei bidoni della spazzatura di qualcosa da vendere, da riutilizzare o da mangiare qui a Belém do Pará è sopravvivenza.
La giornata lavorativa comincia quando arriva il primo camion a lasciare il primo carico di rifiuti.
I camion che scaricano i rifiuti vengono utilizzati come mezzi per raggiungere il luogo di lavoro. Con i primi del mattino e gli ultimi del pomeriggio sono in tanti a salire sui cassoni per avere uno strappo dalla propria casa al lavoro e viceversa.
Appena il monte di spazzatura viene scaricato si inizia. Dopo il primo camion pochi minuti di pausa ed ecco il secondo, e così via.
“MEANDRI – La selva delle vite perdute” di Maurizio Leigheb
è il racconto di una bambina facente parte di una banda di piccoli raccoglitori di rifiuti nella più grande discarica dell’Amazzonia, diventata adulta, racconta la sua drammatica esistenza e quella dei suoi amici d’infanzia: fatti realmente accaduti e persone realmente esistite, anche se talvolta, per intuibili motivi, sono stati cambiati i loro nomi.
Storie inedite, di forte valore umanitario e denuncia sociale, che ci interrogano sul senso e l’etica della vita.
Episodio per episodio, le vite di questi esclusi dalla storia, coinvolti in un comune destino, si intrecciano, si consumano e si perdono misteriosamente nell’immensità della foresta e nella memoria delle generazioni come gli infiniti meandri che descrivono gli affluenti del Rio delle Amazzoni, svelando le più attuali vicende dei gironi infernali dell’Amazzonia, l’ultimo capitolo della sua conquista, un avvincente e inedito pezzo di storia contemporanea, il volto nascosto del grande pianeta verde.