novembre 2001 – Brasile – Pico da Neblina
Quando questa spedizione si è conclusa mi sono resa conto che le emozioni vissute e condivise mi avrebbero accompagnato sempre, contribuendo ad arricchire la mia esperienza umana e a trasmettere il rispetto verso la natura.
Il Pico da Neblina è il punto più alto del Brasile, 2994 m. Si trova nella parte nord-ovest del paese, sul confine con il Venezuela. Il suo nome è dovuto alla nebbia che avvolge il picco per la maggior parte dell’anno.
Quando atterriamo a Manaus, la capitale della giungla, non si respira.
La mattina dopo Ezio Borba, il capo locale dell’Ibama, l’ente brasiliano che gestisce l’ambiente, ci saluta prima di prendere l’aereo per São Gabriel da Cachoeira, una cittadina a 850 chilometri più a ovest in linea d’aria, dove Valdir (Pereira da Silva), la nostra guida di 58 anni, ci aspetta e ci accompagna all’ufficio locale dell’Ibama e della Funai, l’ente responsabile degli affari indigeni per i permessi richiesti. Poi ci porta in barca a fare un giro fra le isolette con spiagge di sabbia bianca nel Rio Negro.
Il giorno dopo un fuoristrada ci porta a Ia-Mirim, un luogo a 58 chilometri al nord di São Gabriel dove iniziamo il nostro viaggio in barca.
Durante la prima ora Valdir e Deco, il suo assistente, di 36 anni, usano i remi per proseguire nell’acqua poco profonda, ma quando il fiume si fa più largo e profondo accendono il motore.
Dopo 4 ore di barca, superando le insidie del fiume, rami che si intrecciano nell’elica del motore, raggiungiamo il posto Funai presso il fiume Canabaris per trascorrere la notte.
Il giorno dopo continuiamo il viaggio in barca, prima del tramonto compriamo 3 ananas dagli Yanomami lungo la riva e ci accampiamo vicino al grande villaggio Yanomami di Maturacá. La cena consiste di riso e sardine mentre un temporale si scatena sopra le nostre teste. Il giorno dopo, appena partiti, una barca con dei soldati ci sorpassa: come ogni anno, vanno a cambiare la bandiera brasiliana in cima al Pico da Neblina.
Nel primo pomeriggio raggiungiamo il fiume Tucano, il livello dell’acqua diminuisce e bisogna trascinare la barca per l’ultimo tratto prima di raggiungere il posto dove inizia il percorso a piedi. Dopo aver preparato gli zaini, le provviste ridotte al minimo, ci avviamo sotto l’ennesimo acquazzone. Si stenta a camminare col peso di più di venti chili sulle spalle!
Dopo 3 ore di cammino nella giungla arriviamo al campo Tucano, un punto (roça) frequentato dagli Yanomami e incontriamo dei bambini che giocano e si spostano con delle piccole canoe con agilità e sicurezza: la giungla è la loro casa.
Il giorno dopo, inoltrandoci sempre più nella giungla, passiamo vicino alle cascate Tucano e prepariamo il campo a Bêbedouro Novo. La pioggia torrenziale non ci dà tregua e ci costringe a tendere un telo di plastica sopra le amache; dividiamo il riparo con i soldati incontrati sul fiume che ci danno sicurezza in questa fitta giungla.
La mattina dopo il cammino si fa subito insidioso e lungo il ripido sentiero si formano dei rigagnoli di fango e tutto diventa scivoloso.
Raggiungiamo il campo Base sotto una pioggia violenta e la nebbia non ci facilita la salita impedendoci di vedere il Pico. Per prima cosa accendiamo il fuoco che scoppietta mentre cuoce la nostra cena e dà calore e condivisione della fatica della giornata. I nostri indumenti sono tutti inzuppati e cerchiamo un po’ di calore per asciugarli; per fortuna la temperatura è favorevole, ma c’è un tasso di umidità altissimo.
Due cercatori d’oro (garimpeiros) che vivono nei dintorni ci fanno visita e condividiamo la cena e la nostra esperienza.
All’alba i soldati partono per la cima, noi un’ora dopo con la nostra guida Deco. Il sentiero è molto scivoloso e insidioso, come sempre, le rocce sempre più scivolose. Sotto la vetta bisogna metterci in sicurezza e Deco ci lega con una corda e finalmente raggiungiamo la cima. Siamo circondati dalle nuvole, l’emozione è grande e ci scambiamo una stretta di mano con i compagni e i militari. Ogni tanto una breve apertura ci concede di goderci il panorama mozzafiato del mare verde della giungla sottostante che si estende in ogni direzione, sia nel territorio brasiliano che nella parte venezuelana. In una fessura nella roccia ben protetto c’è il libro dove tutti possono scrivere emozioni e pensieri come testimonianza della salita.
Una fitta nebbia sale e non ci permette di trattenerci in cima a goderci la conquista della vetta e nostro malgrado ci costringe a scendere. Anche la discesa si presenta pericolosa e ci costringe a stare molto attenti al terreno insidioso.
Dopo molte ore arriviamo al campo base lasciandoci alle spalle le tensioni della discesa. La nostra guida, Valdir Pereira da Silva, ha cucinato un buon piatto di spaghetti e fagioli (feijão) e un piacevole profumo ci rincuora dalle fatiche della giornata.
Ci godiamo qualche ora di riposo e nel frattempo il Pico ci dà un bel regalo d’addio sbarazzandosi del suo manto di nebbia e ragalandoci emozioni e lacrime di gioia. Dopo un attimo di riflessione ci scateniamo a fotografare quel pico imponente con la cima finalmente sgombra.
Il mattino seguente si ritorna al campo Tucano infestato di moscerini (piuns) noiosi che ci costringono a coprirci bene nonostante il caldo torrido.
Mangiamo alcune papaie dolci e succose, raccolte direttamente dagli alberi intorno, che danno subito energia. Poco dopo Valdir taglia una liana (cipó de água) e beviamo l’acqua dolce che ne esce, una linfa che ci regala la natura.
Torniamo alla riva del fiume dove abbiamo nascosto la barca alcuni giorni fa carica con cibo, indumenti e gasolio. Durante la nostra assenza però gli índios hanno rubato tutto. Ripartiamo remando verso il villaggio Yanomami di Maturacá. C’è anche una missione e un posto militare. Il villaggio è circondato da montagne. Visto la nostra carenza alimentare dopo il furto compriamo un po’ di cibo e i militari ci danno delle razioni di sopravvivenza.
Non abbiamo il permesso della Funai per pernottare nel villaggio Yanomami, per cui continuiamo il nostro viaggio in barca. Tre quarti d’ora più tardi ci accampiamo lungo il fiume: abbiamo trovato due capanne degli Indios abbandonate e una luna luminosa mi permette di dormire più tranquilla e vedere ciò che mi circonda.
Il giorno dopo si riparte e raggiungiamo il posto Funai e siamo di nuovo al punto da cui siamo partiti in barca 9 giorni fa.
Il nostro viaggio al Pico si è concluso, ma c’è ancora molto da esplorare. Decidiamo di visitare la famosa roccia, a Pedra da Cucuì, chiedendo prima il permesso alla Polizia Federale. Si riparte nelle prime ore del mattino, in barca, sul piccolo fiume Ia-Mirim, diretti a Morro dos Seis Lagos. L’acqua poco profonda è piena di rami: ogni tanto bisogna tagliarli per poter proseguire. Penetriamo nella giunglia e raggiungiamo l’attacco della ripida roccia, alta 460 metri. Cominciamo la salita, ma presto cade della pioggia, tutto si fa più difficile e pericoloso. La cima è a pochi metri da noi, ma non vogliamo rischiare e decidiamo di scendere.